Abstract

“Per costante giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, mentre oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere (anche se comprensivo di un dare), che può concretarsi sia nel compimento di un’opera che di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo, oggetto del contratto di vendita è invece il trasferimento di un bene a cui può essere connessa un’obbligazione di fare, ovvero l’obbligazione di “mettere in opera” il bene compravenduto” (Trib. Velletri, sentenza n. 174 del 28 gennaio 2022).

La linea di demarcazione tra appalto e compravendita è molto sottile; non è sempre agevole distinguere queste due figure contrattuali e accade spesso che un contratto venga qualificato come compravendita quando in realtà – da un’attenta analisi che esula dal nomen iuris attribuito dalle parti – trattasi di appalto e così viceversa.
Sorge inevitabile chiedersi quale sia il motivo per cui una tale distinzione rivesta una così fondamentale importanza. Ebbene, non si tratta di una mera questione terminologica: differente è la disciplina giuridica, con particolare riguardo alle garanzie dovute nel caso in cui il bene oggetto della prestazione si scopra affetto da vizi.
E allora come capire in modo chiaro se un contratto sia qualificabile come vendita o come appalto?
In termini generali, la distinzione tra appalto e compravendita va principalmente tracciata in relazione al criterio della prevalenza dell’obbligazione di dare rispetto a quella di fare, avendo però sempre ben chiaro quale sia l’effettivo assetto di interessi pattuito dalle parti. In altri termini, per costante giurisprudenza, l’oggetto del contratto di appalto è il risultato di un “facere” (talvolta anche comprensivo di un dare), ovvero il compimento di un’opera o di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo di un prezzo; invece, oggetto del contratto di vendita è il trasferimento di un bene a cui può essere anche connessa un’obbligazione di fare (messa in opera del bene compravenduto) dietro il corrispettivo di un prezzo.
Sul solco di questo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale si colloca una recentissima sentenza del Tribunale Ordinario di Velletri (n. 174 del 28.01.2022) in merito ad una controversia insorta tra due società, una delle quali patrocinata proprio dallo scrivente Studio, ed avente quale fulcro proprio la qualificazione di un contratto quale compravendita anziché appalto, ove è stato ancora una volta ribadito che “ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, tipica dell’appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, da considerarsi non in senso meramente oggettivo, bensì anche con riguardo alla volontà dei contraenti al fine di accertare nei singoli casi se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro lo scopo del negozio (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l’effettiva finalità del contratto, nel quale caso quest’ultimo dovrà qualificarsi come compravendita”.
Alla luce di ciò, un consiglio pratico può quindi essere quello di redigere il testo del contratto – anche qualora trattasi di condizioni generali – in maniera tale da enfatizzare lo specifico scopo perseguito dalle parti (quindi la volontà di concludere un contratto di un tipo o di un altro), nonché l’oggetto della pattuizione così da permettere all’interprete – in caso di possibili controversie – una corretta qualificazione dell’accordo concluso.

avv. Chiara Barzaghi

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