La polizza vita può essere pignorata?

Abstract

Il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza. In difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione del T.U.F. e del regolamento Consob” (Cass. Civ., sez. III, n. 10333/2018)

Il nomen iuris attribuito dalle parti a un contratto non vale di certo a collocare lo stesso in un preciso e delineato ambito normativo in quanto il negozio deve essere interpretato unicamente sulla base della natura delle obbligazioni in esso contenute.
A prescindere dal fatto che un contratto venga denominato “polizza vita” non è detto che lo stesso contenga effettivamente una finalità assicurativo-previdenziale, assumendo al contrario quel fine speculativo tipico dei prodotti finanziari, con conseguente inapplicabilità dell’intangibilità esecutiva e cautelare garantita dal disposto dell’art. 1923 c.c..
Il contratto di assicurazione sulla vita è preordinato a favorire l’accumulo di un capitale a fini previdenziali, di modo che al verificarsi dell’evento demografico assicurato, la prestazione dell’assicuratore consenta al contraente – o a eventuali terzi beneficiari- di far fronte ai bisogni collegati a tale evento.
Al contrario, nelle polizze a contenuto meramente finanziario, in luogo dell’obbligo restitutorio, viene conferita in capo all’impresa di assicurazione una sorta di mandato di gestione del denaro investito, cosicché l’investitore maturi il diritto ad un mero risultato di gestione variabile in base ad una serie di fattori: l’andamento del mercato, dei titoli investiti… (cfr. Cass. civ. sez. II, 29583/2021; conf. SS. UU. 8271/2008).
La crescente diffusione di polizze indicizzate, rivalutabili e variabili, linked – per l’appunto – all’andamento di determinati indici di borsa o di fondi di investimento ha determinato l’innesto di una forte componente finanziaria all’interno del classico schema prettamente assicurativo, prospettando l’esigenza di tracciarne le effettive linee di confine al fine di individuare la disciplina giuridica di volta in volta applicabile.
La giurisprudenza di legittimità è ormai giunta alla conclusione che “il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza. In difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione del T.U.F. e del regolamento Consob” (Cass. Civ., sez. III, n. 10333/2018); infatti, in quest’ultimo caso prevarrebbe la finalità speculativa rispetto a quella prettamente assicurativa, con conseguente possibile pignorabilità dello stesso.
Pertanto, in un’eventuale controversia avente ad oggetto la pignorabilità o meno di tali prodotti “misti”, spetterà al giudice di merito, attraverso accurata indagine interpretativa, valutare se il contratto in questione configuri una polizza assicurativa o un investimento finanziario: solo nel primo caso il creditore, del contraente e/o del beneficiario, sarà impossibilitato a procedere esecutivamente sul capitale

Avv. Chiara Barzaghi

Scarica qui il pdf

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Adozione in casi particolari: valutazione del preminente interesse del minore nonostante l’insussistenza dello stato di abbandono

Abstract

Con ordinanza n. 18989 del 5.4.2022 la I Sezione Civile della Suprema Corte ha censurato una pronuncia della Corte di Appello di Bologna che, confermando il rigetto operato in primo grado dal Tribunale per i Minorenni, aveva negato al nuovo marito della madre di una minore la possibilità di adottare la bambina ricorrendo al disposto di cui all’art. 44, c.1,lett.b) l.n.184/83

Riteneva difatti la Corte di Appello l’insussistenza dei presupposti legittimanti l’accoglimento del ricorso, che avrebbe peraltro portato al trasferimento della responsabilità genitoriale in capo a tre persone, data la persistenza dei rapporti che la minore, seppur inserita appieno e con serenità nella nuova famiglia, continuava ad intrattenere con il padre biologico, da lei frequentato con regolarità, il quale era però impossibilitato a prendersene cura per ragioni economiche.
Tale assetto, ritenuto dai giudici pienamente soddisfacente, aveva portato la Corte territoriale a ritenere insussistente lo stato di abbandono e quindi l’interesse della minore ad essere adottata.
La Corte di Cassazione ha evidenziato la fallacia di tale ragionamento, richiamando la consolidata giurisprudenza della stessa Corte, secondo la quale “il Giudice chiamato a decidere sullo stato di abbandono di un minore…deve accertare la sussistenza dell’interesse a conservare il legame con i suoi genitori biologici”, costituendo l’adozione legittimante il rimedio ultimo da adottare in assenza di tale interesse.
La decisione della Corte di Appello si poneva poi in contrasto anche con la sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale n.79, pubblicata il 28.3.2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.55 della legge 184/83 nella parte in cui prevede che l’adozione in casi particolari, a differenza dell’adozione piena, escluda qualsivoglia rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante. Nell’argomentare il rilievo di incostituzionalità, il Giudice delle leggi analizza i diversi presupposti applicativi dell’adozione in casi particolari, che appunto non richiede la situazione di abbandono del minore, ma si fonda sull’accertamento giudiziale che essa realizzi il preminente interesse di questi, ben potendo persistere i legami con la famiglia di origine creandosi “vincoli di filiazione giuridica che si sovrappongono a quelli di sangue”.
Nel caso concreto, in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale, l’adozione della minore pare realizzare il suo precipuo interesse attraverso la realizzazione di legami parentali anche con la famiglia del genitore adottivo, avendo ormai la riforma della filiazione smentito la possibilità di esistenza di una sola famiglia, ed il principio di uguaglianza innovato profondamente lo status filiationis. L’identità del minore ben può essere connotata da una doppia appartenenza, che non può pertanto essere disconosciuta, pena la lesione del diritto costituzionale al mantenimento della propria identità.
Sulla scorta di tale esigenza di tutela la Corte Costituzionale ha rilevato il progressivo ampliamento del campo applicativo dell’adozione in casi particolari, dapprima solo residuale, proprio perché consente di prescindere dallo stato di abbandono richiesto per l’adozione piena, dimostrando “una precipua vocazione a tutelare l’interesse del minore …a mantenere relazione affettive già di fatto instaurate e consolidate” e chiarendo quindi che tale interesse del minore deve costituire il focus atto ad orientare le decisioni dei giudici.
La Cassazione nel caso di specie ha quindi ritenuto che l’adozione, da parte del ricorrente, della figlia della moglie, realizzasse il preminente interesse della minore pur in assenza di uno stato di abbandono, ed anzi nonostante la solidità del rapporto che la minore intratteneva con il padre.

Avv. Anna Sprio

Scarica qui il pdf