Abstract

La recente emergenza sanitaria in uno con gli ultimi avvenimenti in Ucraina hanno provocato alle aziende di tutto il mondo crisi di approvvigionamento di materie prime e materiali in genere, e coslaumento esponenziale dei relativi costi.
Aspetti questi che necessariamente impattano sui rapporti commerciali di fornitura e servizi in termini di corretta, tempestiva e soddisfacente esecuzione dei contratti pendenti…

Le aziende produttrici, in particolare, accusano un sopravvenuto squilibrio economico dei contratti rispetto alle prestazioni originariamente pattuite, laddove a fronte del maggior costo della produzione, il corrispettivo del prezzo rimane invariato. Sempre a causa dell’imprevedibile escalation dei costi di produzione le aziende accusano inoltre difficoltà nel provvedere a una stima preventiva della redditività degli ordini che pervengono in questi giorni e che vengono comunque accettati pur di salvaguardare i rapporti commerciali coi clienti.

L’assunzione da parte delle aziende di una tale alea contrattuale è alla base della richiesta sempre più insistente di adeguamento del prezzo convenuto. Qualora vi sia il consenso dell’altra Parte, nulla quaestio, la pattuizione viene novata e le Parti danno vita a un nuovo accordo sul valore delle prestazioni.

Ma come fare se il Cliente non è d’accordo?

Risulta opportuno conoscere in quali casi e con quali rimedi la Legge o il contratto possono soccorrere all’impasse commerciale.

La Legge anzitutto dedica una specifica disciplina all’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), prevedendo, al verificarsi di eventi che comportino mutamenti sensibili all’alea del contratto sinallagmatico, il rimedio della risoluzione, per ottenere la quale bisogna comunque dimostrare che l’aumento del costo delle materie prime non rientra nella ordinaria oscillazione dei prezzi di mercato ma è dipeso da abnormi cause di natura economica e finanziaria che hanno inciso sui prezzi in maniera straordinaria e imprevedibile.

Appare evidente come la realtà operativa trovi lo strumento della risoluzione, così disciplinato, troppo spesso insoddisfacente poiché non idoneo ad imporre un riequilibrio delle condizioni contrattuali, ipotesi sempre rimessa all’autonomia delle Parti, a tutto pregiudizio del principio di conservazione del contratto.

In materia di appalto, la Legge (art. 1664 c.c.) fa un passo in avanti, consentendo al contraente pregiudicato dall’imprevisto mutamento dei costi del materiale di chiedere la revisione delle condizioni, ma si badi, soltanto quando detto mutamento ecceda il decimo del prezzo complessivo convenuto e comunque solo per la parte in eccedenza.

Mancando nell’ordinamento uno specifico dovere di rinegoziazione, il riequilibrio del contratto viene insomma rimesso alla volontà della Parte non pregiudicata che ben potrebbe opporsi alla richiesta. Si consideri peraltro che la mera richiesta di rinegoziazione del prezzo non dà, di per sé, alla Parte svantaggiata il diritto di sospendere l’esecuzione del contratto.

Appare dunque evidente la necessità per le imprese di dotarsi di una disciplina propria in merito, in modo da poterne fare immediato ricorso all’occorrere di simili eventualità senza dover sottostare al placet di controparte.

In particolare, è opportuno che l’azienda si doti, nelle condizioni generali di contratto ovvero nel contratto particolare col Cliente, di una specifica clausola di variazione del prezzo correlata all’aumento dei costi di produzione che si verifichi nel corso dell’esecuzione del contratto. Siffatta clausola, che nei contratti commerciali assume il nome di clausola di hardship, permette la predeterminazione del rimedio azionabile dalla Parte qualora sopravvenisse un’eccessiva onerosità della prestazione a suo carico.

La clausola potrebbe introdurre uno specifico obbligo di rinegoziazione tra le Parti, prevedere le conseguenze del mancato raggiungimento dell’accordo (ad esempio consentendo alle Parti di rivolgersi a un terzo per riportare il contratto ad equità) e ridurre solo ad ultima ratio la possibilità della risoluzione del rapporto. Infine, in caso di inadempimento all’obbligo di rinegoziazione, si potrebbe far ricorso a clausole penali e ipotesi di recesso, clausole non solo con valenza deterrente, ma anche volte a risanare per quanto possibile la parità economica tra le Parti.

In conclusione, laddove l’azienda fornitrice ravvedesse la necessità di una revisione in aumento dei prezzi precedentemente concordati col Cliente, in assenza di una concorde volontà di controparte, potrebbe certamente far ricorso ai rimedi codicistici sopra descritti, ma con la consapevolezza che non sono strumenti orientati alla conservazione del contratto. Ben più soddisfacente quindi risulta il ricorso preventivo a una disciplina contrattuale quanto più esauriente in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, che preveda clausole di hardship in grado di provvedere automaticamente e senza contenzioso al riequilibrio dell’alea contrattuale.

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Dott.ssa Francesca Signoroni